La Sez. III chiarisce: l’occultamento ex art. 10 d.lgs. 74/2000 è reato permanente; basta l’impedimento “relativo” alla ricostruzione dei redditi/IVA
La Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza n. 39930/2025, torna sul reato di occultamento o distruzione di scritture contabili previsto dall’art. 10 d.lgs. 74/2000. Il punto operativo è netto: non serve che la contabilità scompaia del tutto; è sufficiente che la sottrazione renda non ricostruibili o seriamente difficoltosi redditi e volume d’affari. Per l’occultamento, inoltre, la condotta può protrarsi nel tempo fino ai controlli fiscali, con effetti immediati su prescrizione e competenza.
Documenti “spariti”: quando scatta davvero il penale
L’art. 10 punisce chi, con finalità di evasione, occulta o distrugge documenti la cui conservazione è obbligatoria, così da impedire la ricostruzione fiscale. Non è una norma “sull’ordine” in azienda: presuppone che la documentazione esista e venga sottratta. La Corte ribadisce anche la natura unitaria del delitto: non è legato all’annualità d’imposta. La pluralità dei documenti incide sulla gravità e sul trattamento sanzionatorio.
Il testo dell'”impossibilità relativa”: non serve il blackout totale
La condotta rileva quando è idonea a intralciare l’accertamento. Il reato può sussistere anche se, usando fonti esterne, l’amministrazione riesce comunque a stimare i redditi: il baricentro resta la verificabilità interna dell’impresa. Se ciò che manca rende il controllo inattendibile o incompleto, l’elemento oggettivo può dirsi integrato. Non occorre un’impossibilità assoluta: è sufficiente un ostacolo apprezzabile alla verifica. Tra gli indici ricorrenti, la giurisprudenza valorizza il mancato rinvenimento delle copie delle fatture presso l’emittente, quando gli stesso documenti risultano acquisiti presso i destinatari.
Dolo specifico: il confine con l’illecito amministrativo
E’ richiesto il dolo specifico: la sottrazione deve essere finalizzata a evadere imposte sui redditi o IVA. L’accertamento si fonda su riscontri e, in alcuni casi, su presunzioni semplici: la titolarità di un’attività economica e l’emersione di ricavi possono concorrere a dimostrare la finalità evasiva, se coerenti con il quadro probatorio. Resta distinta l’omessa tenuta delle scritture, che di regola si colloca sul terreno amministrativo: il penale entra quando si prova l’occultamento o la distruzione di documenti preesistenti.
Reato permanente e prescrizione: perché i tempi si allungano
La pronuncia si colloca nell’orientamento che distingue tra distruzione e occultamento: la prima tende a consumarsi nel momento della soppressione; il secondo, invece, dura finché la documentazione resta indisponibile ai verificatori. In questa prospettiva, la prescrizione può iniziare a decorrere dall’accertamento o dallo spirare del termine entro cui l’amministrazione conserva il potere di ricostruzione fiscale. La qualificazione incide anche sulla competenza territoriale, spesso individuata nel luogo in cui la condotta permanente cessa.
Pena e attenuanti: motivazione essenziale, discrezionalità ampia
Sulla pena, la Cassazione ricorda che il giudice può valorizzare gli indici ritenuti prevalenti tra quelli dell’art. 133 c.p., purché spieghi il collegamento tra gravità concreta e sanzione. Le attenuanti generiche richiedono elementi positivi; la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) presuppone un’offesa di minima entità, da verificare caso per caso.
Imprese e amministratori: la governance documentale diventa un rischio-chiave
Il messaggio è pragmatico: la conservazione delle scritture è un presidio di legalità e di certezza nei rapporti con il fisco. Il rischio di contestazioni cresce per imprese e amministratori. Nei passaggi di gestione, nelle crisi e nelle verifiche, la reperibilità immediata dei documenti può fare la differenza tra una contestazione amministrativa e un procedimento penale.