Il confronto tra cedole dei Btp decennali e redditività lorda delle case in affitto mostra un vantaggio netto del mattone, ma tasse, spese e liquidità possono ribaltare il rendimento reale per i risparmiatori
Nei primi tre trimestri del 2025 chi ha comprato una casa per metterla in affitto vede, sulla carta, rendimenti lordi prossimi al 10% annuo, mentre i Btp decennali restano intorno al 3,5%-3,6% lordo. A numeri nudi e crudi, la risposta alla domanda “Btp o casa in affitto?” sembra scontata: il mattone vince ai punti. Ma il confronto cambia molto quando si passa dal lordo al netto e si considerano rischi, tempi di liquidazione e carico fiscale. Dati alla mano, la scelta tra Btp e investimento immobiliare non è un referendum secco, bensì una partita di equilibrio fra sicurezza, redditività e gestione operativa del patrimonio.
Rendimenti 2025: case quasi al 10%, Btp intorno al 3,5%
Le più recenti analisi sul mercato italiano mostrano che la redditività lorda di un’abitazione acquistata e destinata all’affitto ha raggiunto l’8,9% alla fine del 2024, in crescita rispetto all’8,2% di un anno prima. Nel secondo trimestre del 2025 il rendimento medio lordo delle case in affitto è salito al 9,8% per poi stabilizzarsi al 9,7% nel terzo trimestre: si tratta del livello più alto dal 2012. Il confronto diretto è con il Btp decennale: il titolo di riferimento rende oggi circa il 3,5-3,6% lordo, con uno spread Btp-Bund di circa 70-72 punti base, ai minimi degli ultimi anni grazie al miglioramento del giudizio sul debito pubblico e alla percezione di maggiore stabilità dei conti nazionali. Allargando lo sguardo alle altre tipologie di immobili, i numeri sono ancora più marcati: i negozi offrono rendimenti lordi medi intorno al 12,4-12,6%, gli uffici si collocano attorno al 10-12%, mentre i box auto si muovono tra l’8,2% e l’8,5%. Sul piano dei rendimenti lordi, quindi, gli affitti – in particolare nelle zone a maggiore domanda, dai capoluoghi di provincia ai grandi centri urbani – superano nettamente le cedole dei titoli di Stato.
Lordo contro netto: il ruolo di tasse, spese e periodi di sfitto
Il quadro cambia però quando si passa dal rendimento teorico al risultato effettivo in tasca al risparmiatore. Per i Btp, il rendimento lordo del 3,5-4,5% sulle scadenze 5-10 anni si traduce in un 3-4% netto, grazie all’aliquota agevolata del 12,5% e all’assenza di costi di manutenzione o gestione. Non ci sono spese condominiale, interventi straordinari, agenzie da pagare o periodi in cui l’investimento “resta fermo”: il titolo va solo comprato e tenuto a scadenza, salvo la scelta di venderlo sul mercato secondario. Per un immobile, invece, il rendimento lordo del 9-10% viene eroso da: (i) imposte (cedolare secca o tassazione ordinaria, più IMU sulle seconde case); (ii) costi di manutenzione ordinaria e straordinaria; (iii) spese condominiali e assicurative; (iv) eventuali commissioni di intermediazione; rischio di morosità e mesi di sfitto tra un contratto e l’altro. Diverse simulazioni di portafoglio stimano che, al netto di questi fattori, il rendimento effettivo di una casa data in locazione si collochi spesso nel range 2,5-3% netto, con valori più elevati solo in mercati particolarmente dinamici o in presenza di una gestione molto efficiente. In altre parole, il vantaggio del mattone sui Btp si riduce sensibilmente una volta incorporati tasse e costi operativi.
Rischio, liquidità e orizzonte: due strumenti difficili da paragonare
Il rendimento non è l’unica variabile in gioco. I due strumenti si collocano su piani di rischio molto diversi. Btp: il principale rischio è quello di credito sovrano, legato alla capacità dello Stato di onorare il debito. L’attuale riduzione dello spread e il miglioramento dei giudizi sul debito pubblico hanno ridimensionato il premio al rischio, facendo percepire il Btp come “ancora di stabilità” in una fase di volatilità azionaria. Immobili: il rischio è più micro, legato alla morosità degli inquilini, al calo dei canoni in specifiche aree, interventi normativi su locazioni brevi o efficienza energetica, oneri imprevisti legati a lavori e adeguamenti. Un altro discrimine è la liquidità. Un Btp si può vendere in pochi secondi sul mercato, accettando l’eventuale oscillazione di prezzo ma recuperando rapidamente la liquidità in caso di necessità. Un appartamento, invece, richiede mesi per essere venduto, con costi notarili e possibili sconti sul prezzo richiesto. Sul medio-lungo periodo, tuttavia, l’immobile offre un potenziale di rivalutazione reale del capitale e una parziale protezione dall’inflazione, elementi che storicamente hanno permesso al mattone di battere i rendimenti complessivi dei titoli pubblici in molti periodi dell’ultimo decennio.
Quale scelta per i risparmiatori: due profili a confronto
Per il risparmiatore che dispone di 50-100 mila euro, con orizzonte temporale limitato e bassa propensione al rischio operativo, i Btp restano una soluzione lineare: cedole periodiche, tassazione contenuta, maggiore liquidità e nessuna gestione pratica. L’investimento può essere calibrato sulle scadenze desiderate e integrato con altri strumenti obbligazionari o con fondi ed ETF. Per chi invece mira a costruire un patrimonio familiare nel lungo periodo, e può sostenere un orizzonte di 15-20 anni, l’acquisto di un immobile da locare nelle città con rendimenti superiori alla media – capoluoghi con redditività lorda tra il 9 e l’11% – può rappresentare una leva importante, soprattutto se si utilizza con prudenza il mutuo per amplificare l’investimento. Le analisi di settore convergono su un punto: la strategia più efficiente non è “tutto mattone” o “tutto Btp”, ma una ripartizione del portafoglio che combini la stabilità dei titoli di Stato con la capacità degli immobili di generare reddito ricorrente e potenziale plusvalenza. In questa logica, i Btp diventano la componente difensiva e liquida, mentre la casa in affitto è l’asset più esposto al ciclo economico ma anche più premiante in scenari di inflazione persistente.
Il nodo fiscale e regolatorio: perché la partita resta aperta
Un elemento decisivo per i prossimi anni sarà l’evoluzione del quadro fiscale e normativo. La pressione tributaria sugli immobili – tra imposte patrimoniali e tassazione dei canoni – incide in modo diretto sul rendimento netto e può orientare il risparmio verso strumenti finanziari più leggeri dal punto di vista impositivo. Sul fronte opposto, il rafforzamento del merito di credito del debito pubblico e l’eventuale prosecuzione di politiche fiscali prudenti possono mantenere i Btp su livelli di rendimento reale interessanti, pur in un contesto di tassi a lungo termine in lenta discesa. Al 5 dicembre 2025, la fotografia è chiara: i rendimenti lordi delle case in affitto superano di gran lunga quelli del Btp decennale; a conti fatti, però, la scelta tra Btp e casa in affitto resta una questione di profilo di rischio, orizzonte temporale e capacità di gestione attiva dell’investimento.